uscire dagli attacchi di panicoDopo aver letto il post sugli attacchi di panico, ho commentato l’articolo per poter dire la mia opinione in materia e Pierluigi D’Alessio, mi ha esortato a scrivere questo articolo.

Chiarisco che non mi sento affatto una voce autorevole in tale campo, ma piuttosto una persona che ha vissuto sulla propria pelle tale esperienza, scontrandosi con muri fatti di incomprensione, leggerezza di giudizio e talvolta mancanza di conoscenza del problema.

Molti sono i medici dallo psicofarmaco facile, molti gli individui che confondono un attacco di ansia con un attacco di panico, ancora di più la gente che non sa come reagire/gestire una persona in preda ad una crisi.

L’atteggiamento comune e più frequente è quello di sminuire l’attacco di panico e con esso, purtroppo, l’individuo che ne soffre. Generalmente si concepisce lo “stare male” della persona come un atteggiamento infantile, come un’incapacità alla reazione, come una limitazione mentale, come il desiderio di attirare l’attenzione, senza rendersi conto che si tratta piuttosto di un accorata richiesta di aiuto espressa, piuttosto che a voce, attraverso il corpo.

Non a caso, i soggetti che ne soffrono sono nella maggir parte di casi degli individui razionali, abituati a tenere (o a credere di poter tenere) tutto sottocontrollo: menti talmente avezze ad incasellare e gestire tutto, che si ritrovano catapultate in una situazione in cui si ritovano traditi dalle proprie convinzioni, dal proprio atteggiamento, dal proprio corpo.

L’attacco di panico è spaventoso, genera terrore nell’individuo che ne soffre, il quale reagisce in vari modi: 1) maledicendo la propria condizione fino ad imporsi una reazione violenta di rifiuto; 2) limitando la propria libertà personale e d’azione; 3) affidando il pseudo-controllo della propria vita ad altri, finendo in tutti i casi in un circolo vizioso fatto di paura, rinunce ed insoddisfazione.

Personalmente, ho letto svariati articoli e libri sugli attacchi di panico, ma tutti (o quasi) trattano l’argomento da un punto di vista chimico o fisiologico. Tutti propongono rimedi: farmaci, agopuntura, cure alternative (solo per citarne alcuni) senza tener conto che si tratta di semplici pagliativi, tesi ad eliminare (almeno momentaneamente) il problema, senza capirne l’origine.

Il percorso di guarigione risiede nella capacità della persona di accettare gli attacchi di panico come parte integrante di sé e nella consapevolezza che se si sono presentati in un determinato momento della propria vita, intendono focalizzare l’attenzione su “qualcosa che non va”. E’ il corpo che manifesta il proprio disagio, quando la mente è troppo occupata per vedere (o non vuol vedere). La persona che soffre di attacchi di panico è incentrata solo sul proprio presente: non si riconosce nella persona che era e non sa in che modo evolverà: nessuno sguardo verso il futuro, tanto è presa dalle paure del presente. Si trova in una situazione di stallo, in cui solo il desiderio di cambiare rappresenta la spinta necessaria al suo percorso di guarigione.

Quando si è in grado di dare un volto alla propria paura, allora questa perde di consistenza. Nel mio libro, affronto il problema con tono abbastanza ironico, al fine di alleggerire la complessità della problematica e di far comprendere a chi non soffre di attacchi di panico, quanto spesso sia sbagliato e deleterio giudicare prima di conoscere. Grazie per l’attenzione Silvia Grassi