L’aggressività è la parola che quasi in tutti noi evoca il significato di violenza, quindi generalmente le viene addotto il connotato negativo.

Ma è davvero così?

In realtà l’aggressività, connaturata all’essere umano (quindi di cui un essere umano è dotato alla nascita), è una forma di interazione sociale e come tale è un fenomeno complesso, con varie accezioni, come tutte le forme di interazione sociale.

Può esprimersi in sfaccettature davvero molteplici e sostanzialmente opposte tra loro, dalle condotte costruttive e socialmente accettabili a quelle disfunzionali, fino a generare comportamenti violenti finalizzati al produrre sofferenza negli altri.

La complessità di significati che una parola può assumere ci indica la complessità del fenomeno che descrive.

Il concetto di emozione aggressiva può variare enormemente, a seconda che sia considerata un istinto, un comportamento, un’emozione reattiva a un evento frustrante, un’intenzione distruttiva nei confronti di una o più persone o anche oggetti materiali e immateriali.

Esistono diverse definizioni del costrutto di aggressività, tra cui quella che definisce l’aggressività umana come un comportamento intenzionale che ha come obiettivo quello di procurare sofferenza ad un altro individuo della stessa specie, provocandogli delle lesioni psicologiche o materiali è sicuramente una delle definizioni che ha contribuito ad annoverare l’aggressività tra le parole ad accezione esclusivamente negativa.

In realtà l’etimologia del termine aggressività testimonia la sua versatilità ed una neutralità di fondo, con la complessità di significati che essa può assumere successivamente, al momento del suo impiego: proviene dal latino ad = “verso, contro, allo scopo di”, e gradior = “vado, procedo, avanzo”. Quindi “vado verso qualcosa allo scopo specifico”.

Considerata la molteplicità di espressioni dell’emozione aggressiva, che quindi può avere cause, manifestazioni e conseguenze estremamente varie, è naturale che il tema dell’aggressività sia stata oggetto di studio nei vari campi di ricerca, da biologico, psicologico, psichiatrico, sociale, forense, filosofico, fino all’etico, con caratteristiche peculiari per ognuno dei vari approcci e la sfaccettatura messa in luce di questo comportamento complesso.

I meccanismi che presiedono alla genesi di una certa tipologia del comportamento aggressivo, le condizioni che la incrementano e le dinamiche che la cronicizzano sono oggetto di analisi nell’ambito delle varie scienze, a partire da quella della mente.

È interessante notare che l’aggressività spesso viene quasi equiparata alla rabbia o comunque associata ad essa.

Ma questa è chiaramente una visione semplicistica e riduttiva di questo concetto così complesso.

Partiamo dal presupposto che per occupare il proprio spazio nel mondo è necessario prenderselo, sia che si tratti del passo per varcare uno spazio fisico che della parola da pronunciare.

Per realizzare una qualsiasi cosa è necessaria una dose minima dell’andare verso questa cosa, quindi una dose minima di aggressività. Possiamo farlo in modo flebile o sicuro, deciso o titubante, ma ciò non cambia il fatto sostanziale.

Vi siete mai chiesti quanta dose di aggressività è necessaria per compiere l’atto di mangiare? E per raggiungere un traguardo? Per costruire una relazione qualsiasi? Anche solo per corteggiare una persona, in quanto presume il dirigersi verso essa e cercare di farsi accettare nel suo spazio, fisico ed interiore?

In tutto ciò è necessario progredire verso (una persona, oggetto, obiettivo), quindi l’aggressività non è altro che l’energia impiegata a raggiungere qualcosa.

Ma nel modo di farlo, nella gestione di questo processo, si celano le varie virtù o patogenesi, a seconda del caso. La mancanza dell’aggressività nella propria personalità è disfunzionale tanto quanto l’eccesso, entrambe sono sbagliate e riguardano l’incompetenza gestionale.

A causa delle patogenesi l’aggressività viene demonizzata, causando altri tipi di patogenesi, quali il divieto di esprimerla e il conseguente spegnimento della forza vitale.

È certo che una mancanza di spinta aggressiva non giova all’affermazione della persona e alla ricerca e realizzazione del suo scopo di vita, causando in partenza una bassa autostima che disinnesca ogni possibilità di condurre una vita davvero soddisfacente. Questo a sua volta può creare altri tipi di patogenesi, come per esempio le forme di aggressività passiva, che in molti casi possono essere assai più distruttive del comportamento aggressivo manifesto.

Nel pensiero greco antico l’aggressività era considerata nella sua valenza positiva, perché unita alla razionalità assume la qualità dell’arte di gestirla, e può diventare il sinonimo di coraggio. Se ci riflettiamo, è proprio così: bisogna avere la capacità di imbrigliare le proprie energie per riuscire a compiere le proprie scelte e realizzare i propri propositi nonostante le forze avverse e tentativi di dissuaderci.

È nelle incapacità di gestire i processi delle rispettive realizzazioni o, ancora peggio, nelle interferenze e ingerenze in processi altrui, che si creano le devianze dell’aggressività, comprese la rabbia, la denigrazione, la vendetta, fino ad arrivare alla follia distruttiva.

E cosa dire dell’autoconflittualità? Il dirigere l’aggressività verso se stessi, al posto di impiegarla costruttivamente nella realizzazione dei propri obiettivi. Oppure dell’aggressività diretta a sollevare altro dalla sofferenza? Per esempio un chirurgo compie di certo un atto aggressivo nei confronti del corpo del paziente, come anche un soccorritore.

Secondo la teoria etologica, espressa da Konrad Lorenz, l’aggressività nasce da un istinto endemico all’essere umano, una pulsione interiore che genera e dirige i suoi comportamenti, attivata da elementi specifici come:
– la protezione e difesa di quello che si possiede a livello materiale, emotivo e affettivo;
– il bisogno di rendere organizzato il proprio ambiente di vita;
– il bisogno di assumere il potere sulla propria vita.

L’aggressività è necessaria alla sopravvivenza dell’individuo. È l’incapacità di gestire le frustrazioni che la fa deviare nelle forme non solo socialmente inaccettabili, ma anche inappropriate allo scopo iniziale.
I comportamenti aggressivi possono essere suddivisi, dal punto di vista fenomenologico, in diverse tipologie (Attanasio, 2012):
1. l’aggressività attiva che si verifica quando un individuo cerca di far del male ad un suo simile, utilizzando la forza;
2. l’aggressività passiva (si esplicita per esempio nel non prestare soccorso a chi si trova in uno stato di bisogno o nel dire con la voce gentilissima i contenuti manipolatori, denigratori o scoraggianti nei confronti dell’altra persona allo scopo -il più delle volte non consapevolizzato- di dissuaderla dal perseguimento dei propri obiettivi); l’aggressività passiva non è quasi mai consapevole;
3. l’aggressività diretta nella quale una persona arreca danno ad un’altra, utilizzando una modalità mirata, che si concretizza nell’utilizzazione del proprio corpo per provocare sofferenza;
4. l’aggressività indiretta che si realizza nel momento in cui si mettono in giro delle calunnie gratuite sul conto di un altro individuo;
5. l’aggressività autodiretta nella quale si provoca disagio a se stessi;
6. l’aggressività eterodiretta in cui l’oggetto della violenza diviene l’alterità;
7. l’aggressività reattiva che è provocata dall’aver subito un torto ed è alimentata dal desiderio di vendetta (Price e Dodge, citati in Berti e Bombi, 2005);
8. l’aggressività proattiva nella quale la violenza fisica o psicologica viene pianificata ed obbedisce ad una specifica strategia di distruzione dell’altro (Price e Dodge, op. cit.).

Questa è solo una delle possibili classificazioni che tenta di comprendere questo fenomeno così complesso.

Una cosa è certa: è la mancanza di accettazione della propria aggressività che genera il suo rifiuto e la conseguente mancanza di apprendimento della capacità di gestirla. Non possiamo gestire qualcosa che non conosciamo o di cui addirittura neghiamo l’esistenza.

Le conseguenze sono disastrose, con sostanzialmente la divisione in due categorie: chi subisce l’aggressione altrui e chi infligge l’aggressione agli altri. Con varianti di aggressività occulta ma attiva e aggressività manifesta ma in realtà non intenzionale. Tutte disfunzionali.

La strada verso la gestione costruttiva e creativa dell’aggressività umana è ancora lunga, anche perché la confusione in questo ambito lascia lo spazio alle comode manipolazioni, fino ad arrivare alle manipolazioni di massa. Cominciare da se stessi è l’unica via percorribile.

E tu, che rapporto hai con l’aggressività? Raccontami nei commenti!