Non è sempre semplice ammetterlo – anche tra sé e sé – e spesso neanche riconoscerlo, figuriamoci a pronunciarlo e parlarne con qualcuno o riuscire a capire cosa farne di questa realtà scomoda: dire “Ho paura” ci mette di fronte alla nostra vulnerabilità.

L’essere umano è perennemente oscillante tra il sentirsi potente (nell’era tecnologica spesso anche onnipotente, con l’illusione di poter controllare molte cose) e il sentirsi impotente (la natura si diletta ogni tanto di ricordarci pressoché l’impossibilità di controllare alcunché, in particolare quel che davvero importa).

La paura è una delle emozioni primarie, che ha una precisa funzione: quella di proteggere la vita, sia nel senso dell’esistenza che di integrità nelle sue varie accezioni, ai fini della sopravvivenza. Si attiva di fronte ad una situazione di pericolo o di minaccia, reale o immaginaria, anticipata o evocata. Fa scattare un meccanismo adrenalinico, indirizzato ad una delle due possibilità: lotta o fuga.

È un meccanismo ancestrale, e una volta riconosciuta l’emozione, si innesca automaticamente senza ulteriori considerazioni.

La parola trae origine dal latino “pavor” (timore, paura) ed è uno dei vocaboli, se ci riflettiamo, quotidianamente molto usati nonostante oggi siamo esposti ai pericoli concreti molto meno di una volta.

Paradossalmente, oggi anche se non ci rincorrono più le belve feroci, viviamo nel timore perenne. Si potrebbe dire che oggi più che altro siamo rincorsi metaforicamente dalle belve feroci interiori, e in maniera decisamente inflazionata.

In un certo senso era facile quando c’erano solo dei pericoli concreti, oggi la gran parte delle nostre paure non ha nulla a che fare con dei pericoli effettivi. Siamo attanagliati dalle paure immaginarie, per di più evocate dai ricordi o anticipatorie rispetto al futuro.

Ma siccome la paura è in grado di comprimere con un singolo ordine tutto il resto di una persona, per fronteggiare l’emergenza – e nel caso del pericolo cessato si torna al “regime di normalità” – il problema nasce nelle situazioni in cui un pericolo reale non c’è e quindi non può essere percepito come cessato: quindi non c’è l’ordine di abbassare l’allarme.

A lungo andare, quel “tutto il resto di una persona” rischia di essere annichilito…e forse è quello che ha espresso poeticamente la scrittrice brasiliana Martha Medeiros nei versi erroneamente attribuiti a Pablo Neruda:

“Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia di vestire un colore nuovo,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero al bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti…” (vi invito a leggere la poesia intera, è molto bella)

Eh già, oggi metaforicamente moriamo più per paura di morire che per pericoli di morte (pensandoci bene, neanche tanto solo metaforicamente, considerando che da una morte metaforica a quella fisica il passo è breve, ma è un argomento a parte da approfondire iniziando dal concetto filosofico).

Oggi abbiamo paura di sbagliare, paura di crescere e maturare, paura di non essere accettati, paura di non essere all’altezza delle situazioni, paura di soffrire, paura di amare, paura di perdere il lavoro o il prestigio, paura di essere rifiutati, paura di esprimere i sentimenti, paura di essere giudicati, paura di non essere abbastanza, paura di essere ridicoli, paura di cambiare, paura dell’insuccesso…l’elenco è infinito.

E se ci soffermassimo a riflettere, non sapremo neanche dire cosa sia ciascuno di questi concetti, di cosa esattamente abbiamo paura e da dove scatta la percezione del pericolo. Ma fatto sta che restiamo immobili intenti a difenderci dai pericoli inesistenti, quando non aggrediamo gli altri, convinti di stare solo a proteggerci.

La paura diventa la guida della nostra realtà, e di conseguenza ci comportiamo nella realtà esteriore, nell’interazione con gli altri che incontriamo quotidianamente nella realtà fisica. E non è un bell’affare: le emozioni o sentimenti come amore, gioia, fiducia, entusiasmo, serenità hanno sempre meno spazio…c’è addirittura chi ipotizza che la felicità non esista affatto. Non ne parliamo di quali conseguenze tutto questo abbia sull’abbassamento dell’autostima.

Quale potrebbe essere l’antidoto a questo lento avvelenarsi l’esistenza?

La paura gioca un ruolo enorme nel processo evolutivo e non possiamo eliminarla. Si nasconde praticamente in ogni angolo della vita e nessuno ne è immune, ma ci sono enormi differenze individuali nel reagire alla sua presenza.

Ci sono alcuni che usano la paura a loro vantaggio, mentre altri si rannicchiano (o indietreggiano) in presenza della più piccola quantità di paura nel loro mondo. La paura può essere usata per evolversi o per diventare stagnanti nella realtà. In realtà è utile, perché ci segnala dove, in quale ambito, abbiamo bisogno di applicare il coraggio.

Considerando la fonte della parola coraggio nella parola cuore, viene da sé la consapevolezza della soluzione: seguire il proprio cuore.

“Vabbé” – diranno alcuni – “una frase consumata…ma cosa vuol dire in soldoni?”

Seguire il proprio cuore in soldoni vuol dire sapere cosa si vuole davvero e comportarsi di conseguenza, prendendosi la responsabilità dei propri comportamenti.

È qui che facciamo acqua: circa il 90% di noi non sa cosa vuole davvero, in uno o più ambiti della vita. Ci sono poi degli ambiti particolarmente dolenti per ciascuno, dove letteralmente si barcolla nel buio…e in quell’ambito abbiamo bisogno di lavorarci maggiormente su noi stessi: consapevolizzare le paure (di cui di solito non ce ne accorgiamo neanche, ma re-agiamo automaticamente in un certo modo), capire quali convinzioni disfunzionali si celano dietro, guarire il dolore contenuto nelle esperienze passate, trasformarle in convinzioni potenzianti, capire cosa vogliamo davvero ed agire con coraggio in quella direzione.

La paura è una forza controllabile, è importante non evitarla quando si manifesta, ma guardarla, farla parlare, osservare le sue caratteristiche e rendersi conto cosa è che la alimenta. La paura può avere solo la forza che gli diamo noi. Diminuisce man mano che si pensa e segue la propria strada: ci vuole coraggio per farlo, ma il coraggio aumenta facendolo.

Sembra troppo difficile? Decisamente è molto più difficile chiudersi sempre di più nella prigione creata dalle paure.

L’importante è iniziare, e partecipare ad un corso di autostima può essere un buon inizio.

E tu, quante paure hai? Come le affronti? Ascolta questa canzone e dimmelo nei commenti: