Tutti noi abbiamo sperimentato qual è il potere di una parola, di un gesto, o della sua mancanza, e della relativa tempistica o intensità. Quanta sofferenza può provocare la mancanza di un chiarimento e quanta felicità una sola frase o uno sguardo espresso al momento giusto.
La comunicazione è una delle cose più complesse, contraddittorie, indispensabili, inevitabili, desiderate, temute, degli esseri umani. Fonte di gioie e dolori. Fatta per aumentare la comprensione e paradossalmente la maggiore fonte dell’incomprensione. Da una parte la diamo per scontata e dall’altra siamo impacciati nell’usarla al punto di impiegare tutte le nostre energie nel tentativo di evitare di comunicare o di comunicare qualcosa di opposto da quello che abbiamo veramente da dire.
E ne vogliamo parlare dei silenzi quando ci sarebbe da parlare o di troppe parole quando un silenzio direbbe efficacemente tutto?
Il significato della parola “comunicare” si potrebbe descrivere come “mettere in comune, funzionare insieme, mettere un valore fuori da sé, condividerlo”. Implica quindi in fondo una generosità, la condivisione. Curioso è notare quanto questo sia una metafora che rispecchia la quotidianità, che quando si elargisce la generosità, tutto va per il meglio; quando manca la condivisione, sorgono i problemi.
Il fatto è che non possiamo farne a meno, la comunicazione è insita nell’esistenza, sia la comunicazione interpersonale che quella intrapersonale (anche se ci isolassimo dal mondo intero, volenti o nolenti comunicheremmo con noi stessi).
Non è possibile non comunicare. Ma possiamo imparare a farlo per creare un continuo miglioramento nella nostra vita, compreso il rapporto con le persone che vi transitano per periodi più o meno lunghi.
Il primo passo verso la comunicazione efficace con gli altri (interpersonale) è una sana comunicazione tra sé e sé (intrapersonale).
Come possiamo esprimerci chiaramente se non abbiamo la chiarezza interiore?
Le conseguenze di una mancata comunicazione tra sé e sé sono disastrose: confusione, incertezza, immobilità, indecisione, incoerenza tra desideri e fatti che compiamo, spersonalizzazione, frustrazione, aggressività e atteggiamento difensivo, cercare di esprimersi in modo neutro, impersonale, fino ad uno stato di blocco…e naturalmente tutto questo si riversa nella comunicazione con gli altri, spesso poi credendo che siano loro a crearci il problema, ad esprimersi in modo che in realtà è nostro o l’abbiamo imposto noi nell’interazione.
E dei blocchi nella comunicazione con qualcuno ne sapete qualcosa? Succede spesso, succede più o meno a tutti.
Oggi poi con la ridotta comunicazione faccia a faccia e l’aumento esponenziale della comunicazione scritta per messaggi e le emotion abbiamo lo spazio ancora più inquinato da malintesi.
La comunicazione faccia a faccia contiene molte più informazioni provenienti dalle fonti non verbali: le espressioni del viso, la mimica, il linguaggio del corpo, gli sguardi, il tono di voce, i gesti…un infinità di sfumature, che le emotion moderne tentano di simulare, generando lo spazio infinito per le frustrazioni e i malintesi.
Per alcuni le emotions sono diventate il rifugio comodo per la comunicazione impersonale, nella quale formalmente si comunica mentre in realtà si sta cercando di evitare di esprimersi davvero. E della relatività dell’interpretazione delle emotions ne vogliamo parlare?
Decifrare un’espressione reale del viso è quasi impossibile da sbagliare; decifrare un’emotion è quasi impossibile da indovinare. Un’emotion non è solo un’emotion: per ciascuno ha una sfumatura del significato diversa ed è molto più soggetto a una rigidità nell’attribuirgli un significato. Il guaio ulteriore è credere che gli altri attribuiscano esattamente lo stesso significato.
Se prendiamo 10 persone e gli chiediamo come interpretano per esempio l’emotion di un certo tipo della risata, riceveremo probabilmente altrettante visioni diverse (se poi questo viene collegato a specifici momenti nella conversazione, tutto si complica ulteriormente). Mentre per una risata dal vivo non ci sono dubbi.
Spesso nella comunicazione c’è la differenza tra il significato espresso e il significato inteso, anche con le parole; con le emotions questa differenza si può esacerbare (a meno che non sia costruita precedentemente una complicità reciproca intorno a un certo simbolo preciso).
Comunicare è molto complesso, e pensare di semplificare riducendo la comunicazione è un errore enorme.
Soprattutto perché riducendo si apre lo spazio per le proiezioni di ciascuno: quando mancano gli elementi si crea l’incertezza, il vuoto, e scattano i meccanismi di difesa degli interlocutori. La mancanza di comunicazione è come un telo bianco, che tira fuori tutte le nostre paure, ferite, insicurezze e le emozioni represse. Più la comunicazione è intima, più profonde ferite è in grado di attivare. E non illudiamoci che magari rifiutandoci di parlare e limitando un rapporto per esempio solo al sesso sfuggiamo alla comunicazione: il sesso non è altro che una forma di comunicazione (che in certi casi e momenti può essere la scelta migliore per interrompere un uso disfunzionale delle parole).
Non confondiamo un silenzio per mancanza di comunicazione con un silenzio che al momento giusto all’interno della comunicazione crea una condivisione!
Lo stile e le capacità comunicative sono molto influenzate dalla nostra famiglia di provenienza, ma sono plasmabili in qualsiasi momento della nostra vita (non ci sono scuse che tengano, possiamo imparare a migliorare sempre e comunque!).
La comunicazione può guarire e ammalare un rapporto.
Anche la più splendida intesa e potenzialità può essere distrutta dalla mancanza di comunicazione o dalla comunicazione disfunzionale. E altrettanto, molti rapporti senza una vera intesa si tengono in piedi e migliorano notevolmente per la capacità e impegno comunicativo di entrambi gli interlocutori.
Per poter costruire qualsiasi relazione conta molto quanto la quantità tanto la qualità della comunicazione (vale anche per il rapporto tra sé e sé). Conta l’impegno che ci mettiamo. Quanto investiamo in una comunicazione, tanto aumentiamo la possibilità di instaurarla e migliorarla.
Nelle relazioni più superficiali non investiamo molto né in quantità né in qualità, ed è proprio questo che le fa essere superficiali o rimanere tali. In alcune relazioni magari investiamo molto in quantità della comunicazione, ma con le qualità sbagliate (magari colorate dalla prepotenza, dalla critica, dalla mancanza di sincerità, dalla mancanza di ascolto, dalla superficialità ed elusività…), in altre investiamo nella qualità ma con la quantità insufficiente per poter rinforzare il rapporto.
Generalmente le donne sono più consapevoli dell’importanza della comunicazione e più propense a favorirla in tutti gli ambiti, mentre gli uomini generalmente tendono a sfuggire, specialmente nell’ambito sentimentale. Qualcuno adduce questo alla presunta incapacità maschile di andare nel dettaglio, ma l’infondatezza di questa supposizione è facilmente riscontrabile nelle conversazioni per le quali gli uomini sono altamente motivati: avete mai visto un uomo parlare degli affari con un atteggiamento sfuggente e lasciare spazio alle interpretazioni vaghe nel contrattare qualsiasi accordo? No.
Gli uomini sanno essere chiari e dettagliati. È solo la questione del dare importanza a un certo argomento, il valore a un certo tipo di comunicazione. Spesso succede troppo tardi di decidersi a farlo, quando un rapporto è troppo compromesso o del tutto spento.
In qualsiasi ambito, è indispensabile che entrambe le parti abbiano la volontà di mettersi in discussione per cercare di superare i propri limiti e di costruire i legami di una comunicazione che è mancante o non funziona.
Esattamente come si mette a farlo un uomo d’affari con un cliente o un partner d’affari che non vuole perdere.
Ciò che viene trascurato si perde, non ci sono deroghe. Se si rimane arroccati ciascuno sulla propria posizione, all’accordo non si arriva. Se non si sa cosa si vuole (quindi non c’è una buona comunicazione tra sé e sé), all’accordo non si arriva. Se non si contatta un partner in modo chiaro e con l’intenzione univoca, all’accordo non si arriva. Se il partner non si rispetta, all’accordo non si arriva. Se si manca di fiducia al partner, all’accordo non si arriva. E poi non venite a dire che parlare sia roba da donne…in ogni comunicazione valgono gli stessi principi.
Che poi bisogna ampliare la consapevolezza dei propri sentimenti e di cosa si vuole davvero nella vita oltre la carriera, è un punto di partenza per tutti: fa parte della comunicazione tra sé e sé, ed è molto utile anche nella carriera.
Se so ascoltare me stesso/a, saprò ascoltare anche gli altri. Se ho la forza di essere leale con me e la mia interiorità, avrò la forza di esserlo con gli altri. Se ho la capacità di riconoscere onestamente di aver sbagliato e di perdonarmi, avrò la capacità di perdonare gli errori degli altri o di chiedere scusa per quelli commessi nei loro confronti.
Comunicare vuol dire relazionarsi. E una relazione, qualsiasi tipo di relazione, non può prescindere dalla comunicazione.
Se non miglioriamo la comunicazione, un rapporto non può migliorare. Qualsiasi rapporto.
E tu, dai il giusto valore alla comunicazione? Come è la tua comunicazione tra sé e sé? Dimmelo nei commenti!