Ma cosa vuol dire esattamente questa espressione che spesso sentiamo, a volte pronunciamo nei confronti degli altri o sono gli altri a pronunciarla nei nostri confronti?
È una di quelle espressioni “ovvie”, che dunque meno conosciamo come tutte la cose che diamo per scontate.
Che cos’è la coscienza e cosa significa averla sporca o pulita?
La coscienza è difficilmente definibile per la sua estrema complessità e l’inafferrabilità.
Certamente appartiene alle facoltà della mente, ma dove si trova?
È limitabile alla mente o va oltre la stessa, visto che due persone con le facoltà mentali simili possono avere una grande differenza a livello di coscienza?
È riconducibile ai processi neurologici, chimici, fisici e riscontrabile in determinate aree del cervello?
È misurabile come per esempio la memoria o la percezione?
E soprattutto, è addestrabile?
Migliora nei soggetti che fanno molta attività intellettuale e studiano molto o è indipendente da essa?
Secondo l’enciclopedia Treccani, la coscienza è “consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori”. È quindi la “facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino”.
Nel linguaggio comune, per la coscienza si intende più o meno la valutazione del proprio agire – del proprio, non quello altrui – a volte come criterio della moralità e a volte usando la moralità come criterio.
Ma la coscienza ha a che fare più con il codice etico che con la moralità, tanto che alcune persone ritenute “a posto” secondo la morale della società del momento, possono avere la coscienza sporca e intimamente sentirla tale.
La coscienza è una sensazione interiore, profondamente intima, che va al di là del concetto di punibilità morale e sanzionatoria e al di là del consenso o addirittura l’approvazione altrui.
La coscienza sa come stanno esattamente e davvero le cose. La coscienza sa la verità.
Potrebbe essere descritta come una sensazione interiore che fa da guida, un sensore che segnala all’individuo se un certo suo comportamento è giusto o sbagliato.
Questa facoltà non può essere spiegata in base alla convenienza, al non essere stati visti di compiere una certa azione o addirittura all’avere l’approvazione altrui o della società per un fatto che la coscienza sa che sia sbagliato.
Quando scegliamo di compiere un’azione dubbia (e ricordiamoci che tutto quel che facciamo è una nostra precisa scelta, al di là delle giustificazioni di essere stati costretti o non aver avuto scelta) possiamo anche oscurare temporaneamente alla nostra coscienza il fatto che sia sbagliata, ma ciò non toglie che la coscienza sa che lo sia.
Al compimento di un atto che noi intimamente sappiamo essere sbagliato, la nostra coscienza viene violata e sopraggiunge il disagio emotivo impossibile da cancellare, che ci rende molto inquieti.
Questa sensazione di inquietudine la chiamiamo coscienza sporca.
Chiaramente, ci sono vari gradi di gravità dell’atto compiuto o dell’omissione di compiere un atto quando era necessario compierlo, e da quel grado di gravità dipende il livello di inquietudine interiore – che può essere più o meno avvertita, a seconda del grado di consapevolezza di ciascuno – e quel grado di consapevolezza è indipendente dal titolo di studi, quindi dall’eventuale grado di conoscenza.
Si possono vedere le persone compiere vari sforzi per placare la propria coscienza e soffocare la voce interiore che grida la verità, ma non funziona nessuno di essi: dallo status sociale alle somme di denaro guadagnate, dai riconoscimenti sociali all’autoflaggellazione o benefattorismo rispettabile. i tentativi di placare la coscienza sporca possono sfociare nelle dipendenze, nei comportamenti autolesivi o lesivi nei confronti altrui, nell’avidità, a volte nel suicidio.
La coscienza sporca è quella che a volte non ci fa dormire la notte, tentando di indurci a correggere l’errore che abbiamo fatto. Ma soprattutto ci fa essere agonizzanti nel momento della morte, quando si tirano le somme della vita che abbiamo vissuto, e siamo soli a rispondere a se stessi.
Lo psicologo sociale americano James W. Pennebaker, che si è occupato dei temi del linguaggio, psicolinguistica, sociolinguistica e linguistica antropologica ed è esperto della scrittura terapeutica ed espressiva, nei suoi sperimenti e ricerche ha dimostrato che l’essere umano ha una naturale propensione alla confessione.
Anche se ha compiuto un atto sbagliato che non sarà mai scoperto e punito da nessuno, l’essere umano ha una spinta interiore a dichiararlo per l’impossibilità di tenerlo sulla coscienza.
Una punizione viene sentita come sollievo, e se ci riflettiamo, un suicidio può essere nient’altro che la forma estrema di autopunizione.
Una confessione, l’ammissione di un errore o di una condotta sbagliata, può essere un atto di coraggio da cui inizia il processo di empowerment.
Compiere un errore o scorrettezza, specialmente se grave, è un atto di debolezza, e tutto ciò che fa perpetrare quell’errore non può che aumentare la debolezza. L’unica via per riprendere il proprio potere personale è il riconoscimento dell’errore compiuto e tutto il necessario per correggerlo, anche se può comportare molti disagi da affrontare.
Ma ne vale la pena. La coscienza pulita non ha prezzo.
Di recente mi ha colpito un dato epidemiologico di cui sono venuta a conoscenza leggendo sul tema della psicologia dell’emergenza: in Italia il problema grave non sono gli omicidi, ma i suicidi, cinque volte più frequenti.
In pratica, su una media annua di 600 omicidi compiuti, vengono compiuti 3000 suicidi.
Ora, ricordiamoci che la vita umana ha un valore enorme, che si tratti di una sola o migliaia: è grave la perdita di una sola vita umana, sempre.
Sarebbe interessante ed importante indagare sulle motivazioni di ogni atto di violenza compiuta su se stessi. Ma nel mentre, non è una cattiva idea fare una chiacchierata quotidiana con la propria coscienza. Si potrebbero reperire delle informazioni utili alla prevenzione del proprio benessere interiore, psicologico ed anche fisico.
In fondo, se una coscienza ci è data, un qualche motivo ci sarà…un po’ come i denti del giudizio.
E tu, fai i conti quotidianamente con la propria coscienza? Fammi sapere nei commenti!