La tecnologia ci sta aiutando da sempre ma attenzione perché non solo cambia ciò che facciamo e come lo facciamo, ma anche il nostro comportamento e persino chi siamo.
La dipendenza dal cellulare, infatti, può creare (e lo sta già facendo) conflitti nella percezione della nostra identità.
Molte cose sono cambiate che prima potevano essere inaccettabili e ora sono accettatte senza riserve.
Se mentre siete a una riunione o a una cena qualcuno tirasse fuori un libro e cominciasse a leggere, o mettesse delle lettere della posta che ha ricevuto e cominciasse ad aprirle e leggerle, cosa pensereste?
Questo è ciò che facciamo invece con il cellulare.
1. La dipendenza dal cellulare è associata a livelli più elevati di stress
Adesso nel bel mezzo di qualunque cosa, una lezione, una cena, una riunione di lavoro, sono in tanti che non riescono a smettere di guardare i messaggi, chattare o addirittura giocare sottobanco.
Tuttavia, tutto ciò ha un costo elevato: conseguenze professionali e personali per l’abuso della tecnologia.
Un sondaggio dell’American Psychological Association ha rilevato che essere costantemente e permanentemente accessibili su un dispositivo elettronico, controllare le e-mail di lavoro nel giorno libero, navigare continuamente sui social media o rispondere ai messaggi di testo a tutte le ore, è associato a livelli più elevati di stress.
Lo vedo spesso da mia figlia di anni 14, fa fatica durante un viaggio in auto a guardarsi intorno ed ha una dipendenza dai cellulari e da altre tecnologie al punto di allontanarla dal presente, senza accorgercene scappiamo in un altro posto, vogliamo essere ovunque, non vogliamo perderci nulla, e forse così perdiamo tutto senza poter prestare attenzione a qualsiasi cosa.
2. Residuo di attenzione: più fatica e meno produttività
Sophie Leroy, professoressa all’Università di Washington, ha coniato il termine “Attenzione residua” per l’effetto che si verifica quando le persone perdono la loro attenzione o per qualche interruzione lasciano un compito senza finire per passare a un altro (vedendo le loro prestazioni influenzate).
Questo offuscamento ci costringe a rifocalizzare la nostra attenzione, e ogni volta che ciò accade genera una frammentazione del focus che lascia un “residuo di attenzione” che genera più stress e fatica.
Come se fosse una dipendenza, sembra che possiamo prestare attenzione solo a ciò che veramente ci interessa o “ci diverte”.
Sembra che se c’è un momento di pausa, di silenzio, di mancanza di intrattenimento, la sveglia suona quando sentiamo i nostri stessi pensieri e, istantaneamente, la nostra mente fugge alla ricerca di qualcosa di interessante che plachi l’ansia improvvisa (per qualcosa altro che riempirci o per paura di perderci qualcosa).
Ci separiamo dalla vita reale e ci immergiamo in una virtuale, fuggiamo verso una vita immaginaria, forse quella che vorremmo avere e quel desiderio, quel confronto inconscio, rende il nostro presente un posto peggiore da cui vorremmo scappare.
Tutti abbiamo visto o vissuto quel momento in cui una coppia è immersa nel proprio cellulare separatamente, relazioni in cui ci sentiamo e siamo soli ma insieme.
3. Nomofobia: prima si diceva penso, quindi sono, ora è condivido, quindi sono
La tecnologia è fantastica, ma in troppe occasioni ci porta a vivere più lontani dalla realtà, e nelle relazioni reali la vita è più complicata.
Nella vita reale commettiamo errori, sbagliamo, ci correggiamo, cadiamo, ci rialziamo, chiediamo scusa, corriamo dei rischi, abbiamo speranze, delusioni, gioie, abbracci, la vita è quell’enorme e imprevedibile montagna russa emotiva .
In quello virtuale, dalla sicurezza della grotta dove nessuno può vedermi, posso connettermi e mostrare al mondo come voglio essere visto, come vorrei che fosse la mia vita.
La nomofobia (paura irrazionale di passare un periodo di tempo senza cellulare) è già una realtà e prima si diceva penso, quindi sono, ora condivido, quindi sono.
Da lì controllo, posso modificare la mia vita, mostrare solo il bello, cancellare il negativo e fingere qualsiasi emozione o situazione perfetta, senza paura di scoprire i miei veri sentimenti o come sono veramente, perché altrimenti potrebbero scoprire che mi sento come una frode.
Ci mostriamo come vogliamo essere percepiti perché vogliamo essere apprezzati, cerchiamo di impressionare perché vogliamo essere ammirati, vogliamo sfuggire alla solitudine, essere visibili, anche se in realtà stiamo cercando di sentirci abbastanza bravi e degni di essere amati.
Dal punto di vista del mio cellulare posso controllare la mia vita o come sembri la mia vita, posso pensare a quello che sto per dire, posso copiare, incollare, modificare, ritoccare e avere un aspetto molto migliore e più interessante.
Ma molti difficilmente possono avere una buona conversazione di persona, perché compare la paura del rifiuto, di essere scoperti.
4. Recuperare relazioni di qualità deve essere una delle nostre priorità
Ci conosciamo davvero online o quando siamo di fronte a quella persona e ci guardiamo, ci ascoltiamo e ci sentiamo?
Quando osiamo, quando ci guardiamo negli occhi e ci sentiamo noi stessi, quando siamo più vulnerabili e autentici, perché solo allora ci connettiamo davvero; quando vediamo che tutti abbiamo quelle paure, quando capiamo e ci sentiamo compresi (e non giudicati), raggiungiamo quella necessaria connessione umana che dà più significato a tutto.
Oggi sappiamo -perché la scienza lo ha dimostrato- che una delle chiavi della felicità si basa sulla qualità delle nostre relazioni.
Pertanto, recuperare quelle connessioni umane di qualità deve essere una delle nostre priorità.
Dobbiamo guardare meno gli schermi digitali, guardarci di più negli occhi e sentirci l’un l’altro.
Quindi fai quella chiamata, rimani, disconnettiti e connettiti con la natura, con persone reali per uscire dal tuo monologo interiore.