Da quando nasciamo, comunichiamo.

Certo, da neonati in forma rudimentale e non sempre comprensibile da chi vogliamo farci capire. Tanto che i neogenitori, con i loro tentativi (a volte disperati) di decifrare i messaggi “criptati” del pianto del pargolo o di “spiegargli” qualcosa, sono spesso oggetto di scherzi per sdrammatizzare la tensione che genera il non riuscire a comunicare.

Quando si tratta di comunicazione tra chi ancora non usa le parole (i neonati, appunto) e chi usa esclusivamente il linguaggio verbale (quasi tutti gli adulti), oppure tra persone che parlano due lingue diverse, è abbastanza scontata la difficoltà o l’impossibilità di comunicare.

Ma siamo sicuri che sia altrettanto scontato riuscire a comunicare davvero anche tra le persone che parlano lo stesso linguaggio verbale e hanno l’udito funzionante?

A giudicare dalle incomprensioni che sorgono quotidianamente, non lo è affatto.

Anzi, più crediamo che l’altra persona abbia ricevuto il messaggio che noi pensiamo di averle trasmesso parlando e non lo verifichiamo, meno è probabile che sia così.

E si arriva a parlare la stessa lingua senza capirsi.

La comunicazione è un processo molto complesso, che implica non soltanto l’uso delle parole e dei gesti, ma anche il modo in cui vengono dette ed il modo in cui ciascuno degli interlocutori intende le stesse parole, e ancor di più il sistema di credenze legato all’oggetto della conversazione e lo stato d’animo sia di chi parla che di chi ascolta. Insomma, c’è molto di più del dirsi semplicemente un sacco di parole.

A volte il dirci le parole ci allontana dal capirci reciprocamente, che sarebbe invece lo scopo primario di comunicazione verbale: facilitare la comprensione.

Chi di noi non ha avuto la dimostrazione nella propria vita di quanto possa essere disastroso il fraintendimento nella comunicazione, sia nell’ambito lavorativo che privato?

Essere dei bravi comunicatori è un’abilità che si apprende, non ci si nasce. Alcuni sembrano avere qualche predisposizione maggiore, ma se osserviamo bene quasi sempre è evidente anche un maggior allenamento e una spiccata intenzione a comunicare.

Ci sono, poi, persone che sono dei bravi comunicatori nell’ambito lavorativo specifico, ma nell’ambito delle relazioni familiari, sentimentali o amicali si sentono tremare la terra sotto i piedi. E viceversa: c’è chi non riesce a “quagliare” con la comunicazione in un certo ambiente lavorativo, mentre in privato sì.

Per comunicare davvero bene non è sufficiente avere un quoziente di intelligenza logica sufficiente, ma serve un buon livello di quoziente di intelligenza emotiva.

Una particolare abilità dell’intelligenza emotiva è molto utile nella comunicazione: l’empatia.

L’empatia è un’abilità sociale fondamentale nelle interazioni reciproche, ed è presente anche nel mondo animale. L’essere umano è un animale sociale, e la funzione principale dell’empatia è creare la rete delle relazioni intorno a sé.

È utile quindi non solo per instaurare i rapporti, ma anche per mantenerli, e che siano gratificanti e soddisfacenti per entrambe le parti. Infatti, alcuni individui sono abili ad ottenere la gratificazione e la soddisfazione unilaterale (come, ad esempio, i narcisisti che la vogliono solo per sé, o il loro opposto che crea la gratificazione solo negli altri).

Una delle definizioni più semplici dell’empatia è “la capacità di mettersi nei panni dell’altro”, che si potrebbe descrivere come la capacità di entrare nello stato d’animo di un’altra persona e comprenderne il contenuto più profondo.

Ma attenzione, senza confondersi con l’altra persona: non è sinonimo di essere “sensibile” o “emotivo”. In quel caso possiamo parlare di cosiddetta empatia negativa, che consiste nel farsi “risucchiare” coinvolgendosi eccessivamente nel vissuto emotivo dell’altro o proiettare noi nell’altro la nostra risposta emotiva interpretandola come la sua.

Essere empatici è una competenza che comprende due tipi di competenze:

1. Empatia cognitiva: la capacità di percepire la prospettiva diversa dalla propria per poter comprendere l’altro, e per questo è necessaria la capacità di decentrarsi da sé (essere meno ego-centrico);

2. Empatia emotiva: la capacità di condividere con l’altro quello che stiamo percependo del suo vissuto e della sua interazione con noi, compreso il nostro vissuto.

Entrambe capacità sono strettamente collegate con il linguaggio. Si influenzano reciprocamente.

Il modo in cui usiamo le parole, la scelta di parole da usare e l’ascolto delle parole dell’altro è cruciale per stabilire il contatto empatico. E viceversa: l’empatia è fondamentale per scegliere quando ascoltare e quando parlare, quali parole scegliere e come usarle.

Un buon comunicatore è empatico. La comunicazione empatica si può allenare, ed è una competenza strategica per costruire i rapporti interpersonali di qualità, oltre ad essere indispensabile in quasi tutti gli ambienti lavorativi.

Più le condizioni sono difficili, più la comunicazione empatica è necessaria. Nelle condizioni facili, più usiamo la comunicazione empatica, più fioriscono le nuove opportunità arricchenti per tutte le parti coinvolte.

E tu, sai comunicare con empatia? Condividi nei commenti il tuo punto di vista! Anche questa è empatia.