La vita è costellata di ciclicità. Basta osservare la natura per vederne alcuni palesi: giorno e notte, quattro stagioni, fasi della luna, movimento del sole, battiti del cuore, fasi del respiro, epoche storiche del pianeta, dell’umanità o delle singole civiltà…alcuni ripetitivi ed altri con delle varianti.

La vita stessa è un ciclo che inizia con la nascita e termina con la morte. Tutto ciò che in questo mondo ha un inizio avrà necessariamente anche una fine. Non ce ne accorgiamo sempre della fine di qualcosa perché ne segue un nuovo inizio, ma questo non significa che la fine non ci sia.

Il nostro sviluppo, dal momento della nascita, avviene per cicli. Se ci allontaniamo con la mente e osserviamo in maniera retrospettiva, ci accorgiamo dei cicli che ha avuto la nostra vita anche dopo che sia terminata l’ovvia fase dei cicli della crescita fisica e dello sviluppo che ne consegue: i cicli in cui eravamo dedicati a una certa tematica, siamo stati contornati da certe persone, avevamo orientato le nostre energie verso un certo obiettivo, e così via. Spesso li chiamiamo con parole come “periodo”, “epoca” o “fase”.

È naturale che tutto scorra, e la celebre frase “Panta rei” ce lo ricorda. Il mondo non si ferma. Mai. Il mondo inteso come tutto ciò che concerne la vita. O, ancora, inteso come tempo, visto che è il tempo quel che scandisce i cicli.

Eppure l’essere umano ha spesso il desiderio, l’ambizione o l’illusione di poter fermare il tempo. O fermare il mondo. In sostanza, fermare il cambiamento.

Ne abbiamo già accennato al fatto che il cambiamento sia qualcosa che più spaventa l’essere umano, anche se paradossalmente è allo stesso tempo l’unica costante che l’accompagna.

Il cambiamento spaventa perché ci mette di fronte all’ignoto. Tranne quando ci aspettiamo qualcosa di positivamente nuovo. Ma anche qui c’è da aprire una parentesi: a parole tutti vogliamo il cambiamento in meglio, ma in realtà non sempre lo vogliamo davvero.

Siamo abitudinari, e ci abituiamo anche a quel che non ci piace. Così, se non lo consapevolizziamo, cominciamo a preferire anche l’infelicità alla felicità o difficoltà alla facilità semplicemente perché con quella modalità “ci sappiamo fare” e con l’altra, anche se ambita, ancora no. Ignoto. Non sappiamo come è essere felici. Non sappiamo cosa farcene della bellezza, della leggerezza o della facilità. Ci leghiamo al vecchio modo di fare, ovvero creiamo l’attaccamento.

Questo accade anche quando abbiamo vissuto un ciclo estremamente bello e positivo, tanto da volerlo “congelare”, per non farlo andare mai via…un po’ come voler impedire che appassisca un bellissimo fiore. Creiamo l’attaccamento. Sempre per paura dell’ignoto.

Ed ecco che freniamo la chiusura dei cicli che avevamo aperto tempo fa, e anche quando si avviano spontaneamente alla chiusura, ne ostacoliamo il decorso. La parola “fine” ci mette paura, ansia. O tristezza, dolore.

Ma chiudere i cicli è necessario. Semplicemente perché così permettiamo alla vita di svolgersi. Se non si svolgesse il perpetuo cambiamento, non ci sarebbe la vita.

Ogni desiderio che coltiviamo, se si trasforma in un obiettivo, apre un nuovo ciclo. Ogni decisione presa o scelta effettuata, apre un nuovo ciclo. Ogni relazione significativa apre un nuovo ciclo. Ogni interesse coltivato con una certa assiduità apre un nuovo ciclo.

Aprire i cicli a volte è un atto di volontà nostra, a volte il prodotto delle circostanze intorno a noi.

Aprire e chiudere i cicli è un po’ come aprire e chiudere dei file nel nostro computer: cosa succede se apriamo tanti file senza chiuderli? Intanto, si comincia a perdere l’efficacia con ciascuno dei file. Nel peggiore dei casi tutto va in tilt. Blocco totale del sistema.

La stessa cosa avviene se accumuliamo troppi cicli non chiusi nella nostra vita.

Cosa possiamo fare per agevolare “la manutenzione efficace del nostro sistema”, per restare nel linguaggio informatico? Alcuni suggerimenti per migliorare l’efficacia della gestione dei cicli all’interno dell’esperienza che chiamiamo vita:

– Prima di “aprire un file” chiederci “Ho bisogno/desiderio di aprire questo ciclo? Perché lo voglio fare? Come mi sento all’idea di farlo?” Questo vale per qualsiasi cosa: un percorso di studi, una relazione, in trasloco, una nuova amicizia, un hobby, un’impresa, un acquisto consistente.

– Se si è aperto un ciclo non per nostra scelta o volontà, renderci conto quali emozioni e sentimenti suscita in noi. Consapevolizzare la rabbia, il dolore, l’impotenza o la demotivazione può aiutare per capire cosa davvero stia succedendo e cosa abbiamo bisogno di accettare invece di negarlo o di sentirci esausti combattendo qualcosa che non possiamo cambiare. Soltanto accettando come stanno davvero le cose possiamo ragionare sulla cosa migliore da fare. Anche la situazione peggiore si può ottimizzare in qualche misura, o quanto meno elaborare una progettualità per porre le basi di una chiusura appena possibile.

– Oltre le emozioni/sentimenti, consapevolizzare i pensieri in relazione al ciclo che si sta svolgendo, che sia per nostra scelta o meno. I pensieri o convinzioni negative o disfunzionali, come “Non sono capace. Non è possibile. È troppo per me. Sono povera vittima impotente.” possono essere sostituiti da quelli potenzianti, come “Ce la posso fare. Gli altri ci sono riusciti, quindi posso anch’io. Tutto è possibile. A tutto c’è una soluzione. Adesso mi sento sopraffatto, ma con calma risolverò. Una persona forte che ammiro cosa farebbe ora?”. I pensieri guidano la nostra risposta emotiva, e possono generare l’entusiasmo invece della disperazione, e un ciclo all’inizio vissuto come qualcosa di subìto può allenarci a prendere la padronanza nelle situazioni difficili.

– Consapevolizzare i cicli all’interno dei quali ci troviamo – sono sempre più di uno contemporaneamente – e chiederci per ciascuno di essi: “Lo voglio tenere ancora aperto? A che punto sta? Che cosa mi genera a livello di emozioni e di pensieri?”. Non sempre è semplice accorgerci che qualcosa che ci generava emozioni positive magari ha smesso di farlo. Accorgerci di qualcosa ci mette di fronte alla scelta cosa farne con questa consapevolezza.

– Se decidiamo di chiudere un ciclo, elaborare il piano per farlo. Può essere molto difficile, e il primo passo da fare è sempre quello di consapevolizzare le emozioni che ci genera l’idea di farlo e i pensieri che ci suscita a proposito.

Motivarci tenendo presente il fatto che “ogni file chiuso aumenta l’efficacia del computer”.

E tu, come te la cavi con i cicli? Per te è più facile aprirli o chiuderli? Hai le tue strategie preferite? Dimmelo nei commenti!

E mentre rifletti, ascolta questo evergreen che parla di ciclicità e di quanto possa essere difficile chiudere un ciclo: