L’essere umano è profondamente sociale, relazionale.
Basta immaginare in che cosa consisterebbe la vita se non ci fossero gli altri intorno a noi.
Non a caso, una delle punizioni più severe e più temute nelle carceri è la cella di isolamento. La vita è fatta di incontri e di separazioni.
All’interno di esse ci sono relazioni di varia natura e di varie intensità. Senza dubbio, le relazioni affettive sono quelle con maggior significato e coinvolgimento, sia che si tratti di amicizia, parentela o amore romantico.
Quotidianamente ciascuno di noi cambia individualmente (maggiormente proprio a causa delle esperienze scaturite dalle relazioni, attuali o passate), cambia la stessa relazione e contemporaneamente il rapporto con l’altro. Il legame che si crea può essere di diverse qualità, di cui alcune sane, altre meno, nonostante rispondano in ogni caso a dei bisogni di cui siamo più o meno consapevoli.
La relazione è un’entità viva, dinamica. E come tutto ciò che è vivo, è molto vulnerabile e fragile. Ha bisogno di cure quotidiane e di dedizione. Può crescere, essere fonte di nutrimento o fonte di intossicazione, di gioia o di infelicità. E può morire.
Quando una relazione significativa finisce è doloroso.
Dolorosa è la separazione nel caso di morte, ma la separazione per relazione finita può essere ancora più dolorosa.
Separarsi dalla persona che per noi ha significato qualcosa non è mai facile. Specialmente se si è trattato di una relazione di coppia. Perché una storia d’amore contiene i nostri sogni più reconditi, le nostre aspettative, i desideri più profondi, i ricordi, gli attimi vissuti, i progetti immaginati, ideati o realizzati.
Abitudini, attese, paure superate e non, potenzialità intuite, investimento mentale, materiale e sopratutto quello emotivo. La nostra stessa identità viene profondamente toccata e modificata. Tutto questo è ancora più doloroso e intollerabile se avviene quando la relazione è stata poco vissuta.
Il rammarico per non aver dato l’opportunità di realizzarsi ad una meravigliosa potenzialità chiaramente intuita può essere la fonte di molta sofferenza, a differenza di relazioni finite per il semplice esaurimento.
E’ un po’ come la differenza tra come percepiamo la morte di un bambino e la morte di una persona molto anziana: fa dolore lo stesso ma il grado di accettazione è diverso.
Chiaramente, ogni partner vive la separazione diversamente, a seconda del tipo di investimento impiegato e della dinamica relazionale intercorsa tra i due.
C’entrano anche le dinamiche psicologiche personali, ma è un argomento troppo vasto di suo, da affrontare in un articolo a parte.
La sofferenza non è minore anche se si è trattato di una storia d’amore travagliata, problematica ed infelice. E non è minore nel partner che ha deciso di interrompere la relazione.
La fine lascia sempre il senso del vuoto, di amarezza, di solitudine (perfino se siamo solitari), di perdita di autostima e di frustrazione, a meno che non si tratti della relazione già trasformatasi nell’affetto amicale o nell’indifferenza totale. Anzi, nella quasi totalità dei casi il vissuto è molto più difficile per il partner che ha deciso di porre fine.
Perché, oltre tutto ciò sopraelencato, per arrivare a tale decisione è stato spinto dall’insoddisfazione scaturita dal comportamento del partner (che può aver ferito i nostri bisogni fondamentali, i valori e qualche volta anche la dignità o la sicurezza) o dalle condizioni aspre dell’ambiente sociale (ostacoli fisici o sociali alla relazione).
Questo già di suo ha generato molta rabbia e senso di impotenza. Inoltre, la responsabilità della decisione rende vulnerabili al senso di colpa, aggravato spesso dal partner lasciato che fa leva proprio sul senso di colpa per tentare di indurre al ripensamento. Decisamente è molto più facile essere la parte lasciata, che si crogiola nel ruolo della vittima (anche se non lo è, anzi, ha la sua parte fondamentale di responsabilità), sia a livello personale che nei confronti degli altri.
Questo rifiuto della decisione del partner di interrompere la relazione a volte può degenerare nei comportamenti ossessivi e persecutori accomunabili sotto il nome di “stalking”. Lo stalker, nel voler forzatamente mantenere un legame, recita la parte della persona ancora innamorata mentre in realtà tenta di esercitare soltanto il controllo e il possesso (che probabilmente esercitava anche nel corso della relazione).
In fondo l’unica cosa che fa è sfogare le proprie frustrazioni (che ha già di suo per profondi disagi personali, a cui si aggiunge la frustrazione della perdita del partner anche se vissuto come puro oggetto), usando tutti i metodi di manipolazione e di violazione della libertà altrui: telefonate o messaggi insistenti, molestie, diffamazione e calunnia, inseguimento, minacce anche gravi, interferenze nella carriera o nella vita privata, promesse, raggiri o tentativi di seduzione.
Tutto questo genera all’indirizzato/a una serie di disagi: stress, paura, ansia, senso di colpa, disorientamento, problemi relazionali o di carriera, quando non una depressione. Tutto questo per evitare di elaborare il dolore della perdita. Non è facile elaborarlo, ma va elaborato.
La separazione è un vero e proprio lutto: uno stato di sofferenza intima in seguito alla perdita.
Come tale va vissuta.
Ha bisogno del tempo e di un profondo lavoro interiore. E’ un processo. Più lavoro interiore si svolge, meno tempo occorre; il tempo da solo non è sufficiente, senza un lavoro su se stessi possono passare anche i decenni senza che il lutto sia minimamente elaborato.
La psichiatra statunitense Elisabeth Kubler-Ross, pioniera negli studi sulla morte ed il lutto, è autrice del modello di 5 fasi del processo del lutto, che possiamo applicare anche a entrambi i partner in una separazione:
1. rifiuto e isolamento (negazione) – “…non è possibile”;
2. rabbia e collera – verso il partner, la situazione o verso se stessi;
3. negoziazione (venire a patti) – parlare e cercare di capire il proprio vissuto o la relazione;
4. depressione – realizzare la mancanza e il dolore che suscita;
5. accettazione.
Gratitudine per l’esperienza vissuta è fondamentale, da inserire in tutte le fasi (anche se non sarà facile), per apprezzare la bellezza del vissuto, ma senza volerla trattenere, congelare. L’amore appartiene all’infinito.
Concedersi silenzio è fondamentale in questo processo, per potersi ascoltare e permettersi di sentire il dolore. Il dolore vuole rispetto. Ogni relazione ha svolto qualche funzione trasformativa, è saggio coglierne il dono. Difficile coglierlo se non ci creiamo lo spazio del silenzio.
Le fasi possono sovrapporsi, invertire l’ordine ed essere di varie intensità. I percorsi interiori di separazione dall’altro possono essere molto diversi da persona a persona, a seconda dalle caratteristiche di personalità di ciascuno e soprattutto dalla storia personale a partire da quella familiare e dai primi legami (generalmente con madre/padre).
E’ un momento di passaggio, di cambiamento (e sappiamo quanto l’essere umano è spaventato dal cambiamento), dal quale però si può uscire rinforzati e imparare lezioni preziose su se stessi (“Chi ero io all’interno dell’ex relazione?”), le relazioni (“Cosa ho imparato da questa relazione?”) e la vita in generale (“Quali bisogni soddisfano le relazioni nella vita?”).
Qualche volta il solo fatto di riuscire ad accettare la perdita ci può portare alla consapevolezza su cosa davvero proviamo – o provavamo all’epoca della relazione – verso quel determinato partner. Possiamo scoprire verità sorprendenti, che poi ci guideranno una volta usciti dal lutto.
E comunque, la consapevolezza principale su cui lavorare resta quella riassumibile nella risposta alla domanda: “Chi sono io oggi e cosa voglio dalla vita?”
E tu, come te la cavi con le separazioni?
Raccontami nei commenti, ma ascolta prima la canzone di Modugno:
salve sono claudio 50 anni ho avuto una compagna per 4 anni l ho amata moltissimo ma l ho persa per colpa mia e dell alcool.lei mi ha bloccato dappertutto e non la posso piu contattare poi anche il lavoro ha cominciato ad andare male.sono angosciato e depresso.sono in cura da uno psicologo ma vedo che non mi serve.non dormo e mangio poco questo da piu di un anno.sto impazzendo.aiutooo
Caro Claudio, il dolore è una grande opportunità di crescita. Quello che tu hai chiamato “sto impazzendo” in realtà è la tua resistenza al cambiamento di te stesso che senti sia stato innescato dal dolore.
Premetto che la risposta a Giuseppe è valida anche per te e aggiungo altre considerazioni (che spero leggerà anche Giuseppe).
La prima cosa su cui hai necessità di lavorare a fondo è accettare la perdita ed elaborare il lutto. Come scritto nell’articolo, è un processo, che ciascuno attraversa a seconda della propria storia di vita.
Il tema della perdita necessariamente tocca il tema delle scelte, e a questo si aggiunge il tema delle priorità.
A cosa avevi dato la priorità nella tua vita finora? Che scelte quotidianamente facevi in base a queste priorità?
È bene tenere ben chiaro in mente che una scelta comporta una perdita (e siamo ritornati all’inizio delle considerazioni!): scegliere qualcosa comporta perdere qualcos’altro. Nel caso tuo, in base a quel che hai menzionato, l’alcol è stata la tua priorità e la tua scelta. Ricordiamoci che l’alcolismo (in qualsiasi misura) è una dipendenza, e che nel caso delle dipendenze, l’oggetto della dipendenza ha la priorità assoluta su tutto nella vita di chi ne è affetto, è una sorta di “amore” distorto. Cosa ne hai fatto di questa dipendenza nell’ultimo anno di cui parli?
Detto ciò, cosa vuol dire per te amare una persona? Cosa include? Cosa esclude? È possibile amare e non accorgersi della sofferenza e dell’insoddisfazione del partner?
Di cosa è fatta esattamente ora la tua sofferenza e la tua grande insoddisfazione?
I cambiamenti cominciano facendoci le domande giuste e rispondendone con sincerità estrema…e già arrivare a rispondersi con sincerità autentica può essere un traguardo a cui arrivare per nulla facile in certi casi. Lo psicologo non può rispondere alle domande al posto nostro né risolvere i problemj al posto nostro, il suo ruolo è stimolarci e incoraggiarci a fare questo duro lavoro con se stessi.
Fammi sapere come va la tua chiacchierata a tu per tu con te stesso. Ricordati che puoi affrontare tutto ciò che ti è capitato nella vita, altrimenti non sarebbe capitato nella tua vita.
Un abbraccio!
Salve,mi chiamo Giuseppe e ho 42 anni.un anno fa ho conosciuto una ragazza di 41 anni che vive a 50 km di distanza.e’ iniziata una relazione di 8 mesi circa.in questi 8 mesi lei mi ha più volte chiesto di andare a conoscere la sua famiglia,di trovarmi un lavoro nella sua città e di trasferirmi nella sua città per convivere.io non le ho mai dato risposte chiare,ho preso tempo…anche perché avevo un lavoro nella mia città fino al 31 maggio.a febbraio sono iniziati litigi perché ci vedevamo poco e su chi dei due doveva andare a trovare l’altro.premetto che veniva quasi sempre lei,poiché io lavoravo fino a tardi e anche nel weekend.ai primi di Aprile mi lascia dicendo che lei ha fatto di tutto per me e io non ho fatto nulla per lei.non mi concede una seconda opportunità dicendo che me ne ha date tante,che io non l’ho ascoltata…pensavo solo al mio lavoro e a me stesso..sono due mesi che sono in angoscia per sensi di colpa mostruosi per averla persa..ho tentato riavvicinamenti ma lei mi ha respinto.sto malissimo..non esco da casa,non mangio,non dormo..mi manca da morire lei,la amo ancora.non so come devo fare a riprendermi
Caro Giuseppe, da come hai descritto sembra che tu abbia commesso un errore molto comune, soprattutto tra i maschi: quello di dare per scontato la partner, l’atteggiamento che conduce alla sua perdita quasi per certo. Ora è inutile piangere sul latte versato. Ovviamente, come menzionato nell’articolo, bisogna elaborare il lutto della perdita ma senza cercare di punirsi non vivendo più e facendosi mancare le cure fondamentali. Usa la tua energia diversamente. Molto meglio vedere cosa si può fare costruttivamente con quest’ esperienza.
Riflettere è il primo passo in ogni caso. Ecco alcune domande che potrebbero aiutarti a fare chiarezza interiore:
Ti sei reso conto di amarla solo nel momento in cui ti ha lasciato? In quel caso rifletti sul cosa ti ha impedito di accorgertene prima e di dare anche tu a lei nella stessa misura in cui hai ricevuto? In ogni caso, hai bisogno di imparare la gratitudine e l’arte dell’apprezzamento. Fondamentale anche lavorare sul perdono, prima di tutto perdonare a te stesso. Un’altra è esplorare la possibilità che la tua maggiore sofferenza provenga dalla paura della solitudine e il timore di non trovare più una partner oppure la partner che dia così tanto. In quel caso, concentrati sul lavorarci sulla paura della solitudine, importantissima da affrontare per poter realizzare una relazione autentica.
Un altra direzione su cui potresti andare, una volta appurato che davvero ami quella donna, è cercare i libri, i video i corsi, il coach per apprendere l’arte delle relazionj, le regole della seduzione e del comportamento sano e funzionale; esistono anche le strategie per cercare di riprendere la ex, ma chiaramente resta l’incognita del libero arbitrio della partner; in ogni caso imparerai delle nozioni utili per i rapporti. Bisogna educarsi in questo campo, esattamente come facciamo nel campo professionale il che significa dedicare all’intelligenza relazionale tempo, risorse ed attenzione.
Abbi la forza di usare questa esperienza per crescere, la crescita dà sempre i frutti.
Coraggio, rialzati e affronta te stesso, puoi solo vincere!
Un abbraccio!