Nella società odierna esiste quasi un dettame: la rincorsa alla felicità. E fin qui ci siamo: sentirsi felici è piacevole, genera delle belle sensazioni ed aumenta il livello dell’energia.
Ma c’è un problema: nella nostra contemporaneità questa ricerca è diventata spasmodica, con un’esacerbata attenzione verso gli aspetti esteriori della vita. E questo comporta il rifiuto e l’annullamento di tutto ciò che non sia la felicità (o ad essa affine), o comunque una sensazione piacevole.
Creare lo squilibrio nel voler raggiungere qualcosa di solito comporta di fatto l’impedimento di raggiungere proprio quella determinata cosa. Quante volte quando qualcuno ci chiede “come stai?” affermiamo di stare bene anche quando non è vero?
In soldoni, se vogliamo per forza essere soltanto felici, ci impediamo di essere felici.
Forse si può dire che sia controintuitivo, ma è così: eliminando lo spiacevole, eliminiamo anche il piacevole. La vita potrebbe essere comparata ad una scacchiera: è un equilibrio tra il nero ed il bianco. Senza l’uno l’altro non può emergere. Se non ci rendiamo conto e non accogliamo i momenti di disagio che viviamo, se non ci permettiamo di sentirlo, chiudiamo la strada anche alla possibilità di sentire la gioia.
Nel corso della mia vita mi sono scontrata varie volte con il pregiudizio verso la malinconia. La malinconia generalmente è ritenuta uno stato d’animo negativo, quasi equiparato alla tristezza ed alla depressione.
Grande scrittore Victor Hugo la definiva “la gioia di sentirsi tristi”. E già l’introduzione della parola “gioia” fa intuire la presenza dell’aspetto positivo in questo sentimento.
Il termine in deriva da una deformazione della parola “melancolia”, usato nell’antica medicina ippocratica per indicare uno stato di abbassamento dell’umore che si credeva dovuto a una eccessiva secrezione di bile nera da parte del fegato (in Greco: melanos = nero e chole = bile).
La malinconia è uno stato d’animo differente dalla tristezza e dalla depressione, che di solito sono dirette verso un oggetto (o la sua assenza) o una situazione particolare. La sperimentiamo di frequente nei momenti di “arresto” nel corso della nostra vita. Anche se affine alla tristezza, non è così dolorosa, e anche se a volte cupa e profonda porta con se la tenerezza e una dose di dolcezza intima. Inoltre, a differenza della tristezza, la malinconia induce alla riflessione: si alimenta di introspezione e di un pensiero forse più a contatto con il cuore, che, se accolto, può dare nuove energie e alimentare sensibilità e fantasia, e di conseguenza anche la voglia di fare. In pratica, è il momento dedicato all’ascolto della nostra voce interiore.
Temere lo stato malinconico, non lasciarlo fluire, volerne uscire al più presto comporta rinunciare alla sua forza creatrice e alla sua capacità di rimettere in dubbio le nostre convinzioni.
La malinconia, se lasciata fluire, dopo un po’ di tempo si esaurisce e lascia spazio alla gioia.
La persona malinconica di solito è silenziosa, chiusa in sé ma fantasiosa e romantica, ritiratasi nel proprio mondo. Il malinconico ha la necessità di spostare la sua riflessione verso l’interno, ad ascoltare quelle sensazioni di disagio che emergono.
Già Platone parlava della malinconia come dello stato psichico tipico di chi si occupa di metafisica, che permette di superare il ragionamento logico, spesso limitante, e di andare oltre le apparenze.
Vediamo alcuni dei principali effetti positivi della malinconia:
– Genera creatività – la malinconia, se non scacciata subito, è in grado di trasformare la sofferenza e trasformarla in creatività;
– Apre allo sguardo interiore – spingendo a ritirarsi in se stessi, stimola a rivolgere lo sguardo verso il mondo interiore, l’unico modo di raggiungere una conoscenza più profonda di se stessi e delle proprie emozioni.
– Induce a Rallentare – sospendendo la corsa quotidiana possiamo ascoltare i nostri bisogni reali e rivedere il nostro comportamento.
L’unica “controindicazione” della malinconia è il pericolo di scadere nel rimuginare sul passato e nell’isolarci eccessivamente dal mondo.
Alcuni eventi drammatici possono naturalmente indurre la malinconia…accogliamola per produrre un pensiero creativo con cui rispondere positivamente. Il mondo ha bisogno della nostra elaborazione creativa della sofferenza.
E tu? Che rapporto hai con la malinconia? Racconta nei commenti!
Ciao Luisa,
In linea generale, la malinconia si distingue dalla tristezza per la contemplazione sulla bellezza della vita (anche quando scaturita dagli eventi come la perdita, o dai pensieri sulla transitorietà), metre la tristezza tende a concentrarsi sulla bruttezza (o ciò come tale si percepisce). Inoltre, la milinconia contiene in sé sempre la dolcezza, mentre la tristezza molto spesso ha il gusto dell’amarezza. La malinconia cerca di elaborare ciò che al momento non ci piace, producendo il pensiero creativo (chiamiamolo pure “fantasticare”) su come vorremmo cambiarlo (dunque, non fermarsi sul “questo non mi piace”, ma sforzarsi di esplorare o immaginare “allora cosa vorrei, come vorrei il mondo intorno a me o dentro me”), mentre la tristezza spesso rimane bloccata su “questo non mi piace” – il chè contribuisce a perpetrare lo stato di malessere. Dunque, se malinconia tende a produrre il pensiero creativo, la tristezza tende a produrre il pensiero ripetitivo.
Spero di essere riuscita a “dipingere” le sottili differenze tra questi due stati d’animo.
Un abbraccio!
Danijela
che differenza c’è tra malinconia e tristezza?La malinconia può produrre un pensiero creativo, mentre la tristezza?
Ciao Sandra!
Spesso fuggiamo dalle emozioni che per noi sono difficili da sostenere, e il modo più frequente è fare qualcosa. Mangiare è una delle attività più spesso usate.
Scoprire il meccanismo che abbiamo istaurato e liberarsene non sempre è facile. Richiede prima di tutto una ferma decisione a farlo. È utile farsi aiutare dai specialisti e dai corsi che aumentano la consapevolezza, anche quelli apparentemente scollegati dal problema specifico.
La prossima volta che ti accorgi di mangiare troppo, fermati. Prendi carta e penna e scrivi “Io mangio perché…” senza alcuna censura. Dovrebbe essere una sorta di “vomito” sulla carta. A volte dà le indicazioni utili, soprattutto se fatto più volte. Chiudere gli occhi, fare dei respiri profondi può aiutare a prendere contatto con il disagio.
Serve pazienza con se stessa, e la disponibilità di dedicarsi del tempo per esplorarsi.
Tutto ciò che favorisce l’autoesplorazione può contribuire a sciogliere un pezzettino di questo “enigma”.
Un abbraccio!
Ciao, io quando ho malinconia mangio troppo. Come posso risolvere Danijela?