“Ho intenzione di studiare.”
“Non ho intenzione di andare alla riunione”
“Non ho intenzione di sposarmi.”
“Ho intenzione di divorziare.”
Pronunciamo quotidianamente le frasi che annunciano le nostre intenzioni. Sappiamo, dalla propria esperienza e osservando gli altri, che non sempre alle intenzioni dichiarate segue l’azione annunciata. Se fosse sufficiente pronunciare un’intenzione per far conseguire un’azione, sarebbe facile.
Ma perché non è così?
L’intenzione è una questione complessa. Tanto quanto è complesso l’essere umano.
Una cosa è certa: nulla succede senza che ci sia stata l’intenzione di farlo succedere. Il fatto che non sia sempre facilmente individuabile è un altro discorso.
Volontà, desiderio, intento, proposito, scopo, obiettivo, fine, finalità, progetto, meta, disegno, mira, traguardo: sono alcune parole che percepiamo come sinonimi dell’intenzione, che si potrebbe definire come “volontà di compiere una determinata azione o di orientarsi verso una certa direzione“.
L’intenzione generalmente si genera prima dell’azione, ma quello che deriva dalle intenzioni non sono sempre le azioni, almeno non direttamente e consequenzialmente.
Dall’intenzione viene il come del nostro agire, e questo determina il risultato finale più di ogni altra cosa.
L’etica (se non consideriamo l’etica utilitaristica, che poi è l’etica fino a un certo punto), nell’intricata questione del bene e del male, prende in considerazione soprattutto l’intenzione con cui qualcosa viene fatto. Che, bisogna sottolineare, non è facile individuare per la complessità dei fattori che intervengono.
L’intenzione forma le azioni. Quando decidiamo di fare una cosa, si genera un’intenzione.
Ma anche viceversa: un’intenzione, seppur vaga, può generare la decisione chiara.
L’intenzione dovrebbe aiutare a decidere coscientemente ogni singolo passo successivo, allineandoli tutti in un’unica direzione. Questo è l’andamento ideale. Ma sappiamo che nella vita spesso le cose vanno tutt’altro che in maniera ideale. Il risultato dipende dallo sforzo, ma non esclusivamente. Ci sono altri fattori, alcuni dei quali possiamo controllare (come l’impegno, lo sforzo che ci mettiamo) mentre altri no (ad esempio gli imprevisti o il libero arbitrio altrui, che possiamo solo accettare).
L’intenzione dà forma alle azioni e a come ci sentiamo in relazione a una questione.
L’etimologia della parola, che proviene dal latino “tendere verso, volgere a un dato termine”, ci indica che è la direzione ciò che contraddistingue l’intenzione. Vale per le azioni quotidiane, per decisioni d’affari, per creazioni artistiche, per relazioni di tutti i tipi.
L’intenzione si può considerare il collegamento tra la parte invisibile e la parte visibile dell’esistenza, tra la psiche e la materia. È un impulso direzionato all’interno del quale è presente il seme della realtà che si vuole creare. Questo impulso può essere consapevole o inconsapevole.
Non bisogna confonderla con l’attenzione. L’attenzione si potrebbe definire come focalizzazione sul cogliere le sfumature dell’esperienza in corso (i pensieri e le sensazioni fisiche ed emotive), mentre l’intenzione è focalizzata sull’esperienza non ancora verificata, che sia un esito o un oggetto.
L’attenzione è osservare quel che c’è, l’intenzione è osservare quel che potrebbe esserci e vogliamo che ci sia.
L’intenzione è un pensiero associato ad una carica emozionale. È l’emozione a dargli potere.
Può essere definita o confusa. Forte o debole. Consapevole o inconsapevole. Ferma o fluttuante.
Dietro le parole e gesti gentili può nascondersi un’intenzione malvagia, come riassume la frase: “Il diavolo non viene da noi con la sua faccia rossa e le corna; viene da noi travestito da tutto quello che abbiamo sempre desiderato”. E viceversa: dietro le parole e gesti sgarbati può nascondersi un’intenzione nobile (l’esempio sono le persone un po’ burbere, ma dal cuore buono e concretamente disposte ad aiutare il prossimo).
A volte la nostra intenzione consapevole non va in porto perché c’è l’intenzione sottostante inconsapevole, a volte inconscia, che non permette la sua attuazione. Ad esempio, vogliamo avere una carriera di successo, ma non riusciamo perché abbiamo accettato l’imposizione di un mestiere che non ci piace o un lavoro cui natura è in conflitto con i nostri valori.
A volte invece siamo guidati verso un determinato obiettivo o l’esperienza da un’intenzione inconscia che ha un influsso sul nostro comportamento così forte da essere inarrestabile, e può esserlo sia in bene che in male.
Ad esempio, seguiamo appassionatamente il nostro hobby che alla fine ci porta verso la creazione di uno sbocco professionale inaspettato o perfino rivoluzionario. Oppure, seguendo l’intenzione di sentirci approvati o accettati a tutti i costi, cadiamo nella rete di comportamenti illeciti o comunque compiamo le azioni contrari ai nostri valori che alla fine possono risultare fatali.
Allora, quanto conta l’intenzione? L’intenzione è determinante. È il fattore scatenante che crea dinamica. E fa accadere le cose con straordinaria efficacia e precisione, senza errori.
Ma per essere al nostro servizio è necessario che sia accompagnata da un lavoro su se stessi: conoscere la propria interiorità è uno dei presupposti dell’uso efficace dell’intenzione, evitando che siano le influenze altrui e le tendenze inconscie a prendere il sopravvento a nostro discapito. In questo sta tutta la sua forza.
L’intenzione implica quindi la premeditazione, la comprensione, eventualmente il piano di azione per un risultato.
Non sempre è facile farlo da soli, se non siamo allenati. A volte è saggio farsi seguire da un coach, counselor o altro professionista di aiuto per esplorare e tracciare il percorso interiore che guida le nostre azioni:
– Immaginario (di cosa è popolato e cosa lo domina);
– Emozioni (quali sono quelle che accompagnano maggiormente le nostre giornate e l’immaginario riferito a un certo ambito della vita);
– Pensieri (quali forme pensiero popolano la nostra mente, l’individuazione dei pensieri disfunzionali o depotenzianti e la formulazione di quelli funzionali);
– Parole (quale linguaggio usiamo quotidianamente e quali parole usiamo per dichiarare le nostre intenzioni);
– Motivazioni (quali sono i nostri “perché”? Stiamo ascoltando se stessi o soddisfando le aspettative altrui?);
– Azioni (quelle che intraprendiamo sono in linea con le nostre reali intenzioni o sono contrastanti?);
– Conflitti interiori e ostacoli (ci sono dentro di noi “le parti che litigano”? Gli ostacoli ci stanno rendendo visibile una nostra incongruenza interiore, ci invitano alla riflessione o ci stanno tastando il polso?);
– La visione d’insieme (l’andamento generale e l’analisi delle eventuali battute d’arresto, il prossimo passo da compiere);
– Alleanze relazionali (da quali persone siamo circondati e in quale direzione ci porta la loro influenza).
Insomma, è utile “fare un processo all’intenzione” ma a sé stessi invece che agli altri…è l’empowerment puro!
E tu, quanto sei consapevole dell’importanza delle intenzioni? Riesci a usare efficacemente la forza delle intenzioni? Dimmelo nei commenti!
Sono consapevole dell’importanza delle intenzioni? Credo di sì. Anche se non sono proprio sicuro di aver capito la definizione di intenzione.
Buona parte delle mie, ad esempio, sono naufragate in una non-azione. Spesso perché – essendo una persona fortemente irrazionale – le mie intenzioni nascono da processi istintivi che, in una seconda fase di filtro “razionale”, vengono poi spente in un “nulla di fatto”.
Tuttavia, se essere efficace nelle “intenzioni” significa riuscire a cambiare le cose che non ci piacciono e cogliere delle opportunità, credo che riesco in qualche modo a sfruttare le intenzioni in maniera efficace. Ma, onestamente, non so se sono sulla strada giusta, quindi… chiedo dal più profondo pozzo della mia ignoranza in materia. 😀
Grazie del post e complimenti. 🙂
Mauro
Ciao Mauro,
Grazie del complimento e della condivisione della tua riflessione. Da quello che leggo, ho la sensazione di un conflitto tra la tua parte che chiami “irrazionale” e quella che chiami “razionale”, dove la parte razionale sembra avere un effetto bloccante facendo naufragare ciò che giudica inadatto e quindi non facendolo realizzare (non azione). Quindi la domanda “Non so se sono sulla strada giusta” mi sembra riferirsi alla scelta se seguire cuore o ragione.
Premesso che non c’è nessuno che possa dirti cosa è giusto per te perché il libero arbitrio è imprescindibile, l’esperienza di seguire i vari criteri dell’intenzionalità è in sé il processo di affinamento del discernimento sottile, che è la facoltà umana più complessa e difficile da acquisire. Chiedersi sempre “Come mi sento quando uso questo criterio?”, che sia la razionalità o l’intuizione, è il miglior “segnale stradale personale”. Non c’è un’univoca “ricetta”, perché in alcune situazioni bisogna avere intenzioni “razionali” o occultare razionalmente le vere intenzioni (che magari sono intuitive) per protezione, in alcune è bene “andare dove ci porta il cuore”. Vorrei solo sottolineare che, contrariamente a quanto si crede, l’intuizione non è “irrazionale”, ma è frutto di un’elaborazione a livello non consapevolizzato, di una miriade di informazioni percepite, ne abbiamo parlato nel post dedicato all’intuizione. Se fossi in te, esplorerei le motivazioni del tuo conflitto e cercherei di seguire attentamente come avviene l'”operazione naufragio”. Non è una cosa veloce, ma è fattibile. Il compenso è la crescita personale altrimenti detta l’evoluzione interiore.
Spero di essere riuscita a cogliere il senso di quel che era la tua domanda-riflessione.
Grazie di questo spunto di ulteriore snocciolamento del concetto così complesso.
Un abbraccio!