Chi non conosce la celebre frase “Panta rei”, riferita alla filosofia di Eraclito, tradotta in “Tutto scorre”? Più di duemila anni fa diceva “È impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume, perché dopo la prima volta, sia il fiume (nel suo perenne scorrere) sia l’uomo (nel suo perenne divenire) non sono più gli stessi”. Anche nelle filosofie orientali, in particolare nel buddhismo, il concetto della transitorietà è uno dei tre aspetti fondamentali dell’esistenza, un susseguirsi di perenne nascere e morire delle cose.
Ma noi, occidentali contemporanei, siamo più che mai spaventati e opponiamo molta resistenza a questa realtà, la paura del cambiamento ne è la prova: è una delle cose che temiamo di più, culminante nella paura della morte (l’ultimo cambiamento che affrontiamo nella vita).
Sappiamo però che contemporaneamente il cambiamento è una delle cose inevitabili e anche di cui maggiormente ne abbiamo bisogno per progredire nella vita. E così la maggioranza di noi oscilla tra la passività (la resistenza al cambiamento) e i cambiamenti per lo più indotti dagli avvenimenti esterni, che nel gran parte dei casi viviamo come traumatici o addirittura scioccanti.
Ogni nostro istante e diverso dall’altro e noi siamo diversi da un istante all’altro. Tutto cambia dentro e fuori di noi, e anche se spesso è difficile percepirlo, nasce e muore qualcosa in ogni momento della nostra esistenza. Cambia il nostro corpo, e questo è molto visibile solo nell’infanzia o nei casi di un forte deperimento, a microlivello costantemente avviene il ricambio delle cellule e adattamento degli organi. Cambia la nostra mente, e i nostri pensieri incessantemente variano e si producono, i nostri ricordi nella memoria vengono riprodotti, variati o cancellati per essere sostituiti da altri. Cambia il nostro stile, di abbigliamento e comportamentale. Cambiano le nostre relazioni, a partire da quelle con la famiglia d’origine, per proseguire con quelle amicali, sentimentali, lavorative, genitoriali e figliali. Cambiano le nostre priorità nella vita. Cambia il tipo di esperienze che abbiamo bisogno di vivere. Cambia il criterio delle scelte che facciamo. Cambia il nostro rapporto con noi stessi e con il mondo, e in questo ambito il tipo di maschere sociali che indossiamo per fronteggiarlo.
Insomma il nostro è un continuo divenire. Il termine divenire [dal latino devĕnire composto di de (prep. che indica moto dall’alto) e venire (venire) quindi propriamente “venir giù”] implica un cambiamento: ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione. Anche quello che sembra statico alla nostra percezione in realtà è dinamico e in continuo cambiamento.
Il divenire è la legge immutabile, composto di opposti che convivono nelle cose: vita e morte, gioia e dolore, inizio e fine, eccitazione e noia, fame e sazietà, attrazione e repulsione…
Eppure, il desiderio forse più spesso ripetuto, in riferimento ai diversi ambiti della vita, è “per sempre”: essere giovani per sempre, felici per sempre, stare con una persona per sempre, mantenere un posto di lavoro per sempre, vivere per sempre…e continuiamo imperterriti, nonostante la vita ci abbia più volte smentiti mostrandoci l’assurdità di tali richieste. Tale è la nostra paura del cambiamento.
Perché il cambiamento ci mette di fronte all’ignoto.
La morte fa paura perché non la conosciamo, ma non possiamo evitarla, perché siamo soli di fronte ad essa e perché fatichiamo ad accettare la mortalità.
La mortalità nelle epoche passate era vissuta con molta più serenità e naturalezza (che le è propria), ma è diventata nella nostra società tecnologica un tabù che si preferisce allontanare e non affrontare. La natura stessa con la sua ciclicità ci mostra continuamente la mortalità come parte integrante della vita.
Prendiamo in esempio le stagioni: l’autunno è un periodo definito di decomposizione, perché in questo momento dell’anno le forze della natura spingono verso la fine di un ciclo e le foglie secche diventano il nutrimento per proseguire la vita, declinando nel buio della terra. È il momento della trasformazione. È dall’autunno che si inizia a costruire la rinascita in primavera, il nutrimento e la costruzione della nuova vita ed anche la salute delle piante.
Questo semplice fatto ci suggerisce la consapevolezza che solo dalla morte può nascere una nuova esistenza, solo dalla decomposizione può risorgere il nuovo, il cambiamento.
Vi ricorda la storia di Araba Fenice, storia di maturazione, motivazione emotiva profonda, una sofferenza da affrontare per poter risorgere dalle proprie ceneri e spiccare il volo?
Ogni cosa che ha la natura del sorgere ha anche la natura del cessare. Ed è solo accettando la possibilità della fine che possiamo aumentare la possibilità del proseguire.
Ed ecco che, consapevoli della fine quotidiana di una relazione, rivolgiamo l’attenzione e la cura nel decidere se proseguirla (farla vivere) o finirla (lasciarla morire). Consapevoli della transitorietà del nostro io, ci diamo il permesso di svilupparlo nella modalità più affine al momento e lasciamo andare (morire) parti di noi o i nostri comportamenti/abitudini/scelte/schemi mentali che non ci appartengono più e potrebbero solo intralciarci nel condurre un’esistenza salutare e, perché no, pienamente e autenticamente soddisfacente. Lo stesso principio si può applicare in tutti gli ambiti della vita.
Si tratta della preziosa capacità di lasciar andare: vecchio sé, vecchi concetti, vecchie ferite, vecchi obiettivi, vecchie abitudini, vecchie maschere, vecchi principi, vecchie interazioni relazionali, vecchi linguaggi…
Ogni morte – intesa nel senso figurato come fine o perdita o rinuncia a qualcosa – è un tempo di crescita, un processo di trasformazione che ci apre alle più profonde dimensioni. La morte risveglia la presenza e il rapporto con tutto ciò che è vivo. È una maestra che ci aiuta a scoprire ciò che conta di più. Ci mette di fronte ai nostri valori. E nell’ignoto i valori sono quei fari che aiutano a non perderci e a mantenere la nostra direzione.
Diventare una nuova e la migliore versione di sé stessi non è in fondo questo?
E tu? Che rapporto hai con l’impermanenza della e nella vita? Raccontami nei commenti, ma prima ascolta la canzone “Tutto scorre” di Negroamaro, potrebbe ispirare qualche riflessione ulteriore: