Per tradizione si intende la trasmissione di qualsiasi contenuto da un soggetto ad altri, o il suo perpetrare nel tempo. Infatti, proviene dalla parola latina che significa “consegna”.
Le festività sono per eccellenza parte della tradizione. Il Natale e Capo d’Anno sono tra le festività più aspettate e festeggiate con più enfasi e calore.
Di certo, le tradizioni rientrano nella “zona comfort” – quella che ci rassicura, fa parte di quel mondo di certezze che ci siamo costruiti. Ma, se vi ricordate almeno vagamente di quel che abbiamo detto della zona comfort, sicuramente vi è venuto in mente anche il suggerimento di uscirne fuori.
Ora vediamo come considerare le festività nell’ottica dell’uscire fuori dalla zona comfort.
La ciclicità della festività è la “garanzia” delle sicurezze del nostro mondo; sappiamo di certo che ogni festa ritorna fra un anno. Sappiamo ormai anche che cosa augurare ad ogni festa, tanto che andiamo “in automatico” e pronunciamo le frasi spesso senza alcuna consapevolezza del loro contenuto.
Ecco, questo fa parte del lato negativo della zona comfort: troppa abitudinarietà. In realtà, le feste spesso diventano dei giorni di attività frenetica esattamente quanto i giorni feriali, con la conseguente perdita del loro senso – ed è questo il motivo per cui a volte vengono chiamate “le feste comandate” (con l’accezione negativa). Ma non è questa la loro funzione.
Se ci riflettiamo, le festività sono dei giorni del distacco dall’attività abitudinaria. Ed è proprio il distacco dall’attività ordinaria che ci permette di riflettere sulla nostra vita, esattamente al momento in cui ci troviamo.
Ogni festività ha anche dei precisi stimoli per la riflessione, dei temi e dei simboli intorno ai quali interrogarci. A prescindere dal credo o dalla appartenenza ai vari gruppi, è saggio prendere da quello che ci circonda i stimoli che possono aiutarci a crescere ed evolverci, a migliorare la nostra vita.
Così, il concetto del Natale è davvero stimolante per riflettere sulla nascita, e quindi anche la ri-nascita, che va presa in senso simbolico. In quanto abbiamo possibilità di cambiare in ogni momento della nostra vita, è bene periodicamente renderci conto dello “stato d’arte”: stiamo bene là dove stiamo o meno, le persone che ci circondano sono davvero quelle con le quali vorremmo essere, abbiamo affrontato le nostre sfide nell’arco del tempo fra una festività e l’altra oppure ci siamo tirati indietro, abbiamo fatto dei cambiamenti o in un anno siamo rimasti tali quali, che cosa desideriamo davvero nel profondo del cuore, abbiamo coraggio di ammetterci i nostri desideri o meno, abbiamo il coraggio di desiderare e volere la stessa cosa o siamo “scissi” sotto la scusa del “dovere”?
Che cosa vogliamo dalla vita? Come davanti ad un bambino appena nato, davanti a noi c’è un mondo di opportunità, tante strade da scegliere. Abbiamo il coraggio di essere sinceri con noi stessi! Solo la sincerità ci può portare verso la vita che sinceramente desideriamo.
E già che abbiamo nominato il bambino, quello è un altro simbolo molto potente di questa festività: il bambino interiore. Come sta il nostro? Che cosa vuole? E’ vivo? E’ forte e sano oppure a malapena sopravvive? Di che cosa ha bisogno? Chi vorrebbe accanto a sé? Come possiamo dargli il nutrimento?
Quando parliamo della tanto augurata serenità, che cosa significa per noi? La serenità può essere illusoria, quando è la conseguenza di aver evitato di affrontare una nostra paura (di solito del cambiamento) e quindi ci culliamo nel sollievo della “fatica scampata” (ricordiamoci, il cambiamento è la cosa che più spaventa un essere umano, e contemporaneamente quella di cui maggiormente ha bisogno).
La serenità autentica proviene dal coraggio di aver ascoltato e seguito il nostro cuore, e affrontato le paure che ci dividevano dalla realizzazione di un sogno, di un desiderio, di qualsiasi cosa che ci dettava quella vocina proveniente dall’interno.
Ecco, se utilizziamo i giorni delle festività per dare ascolto a quella vocina flebile, di certo quei giorni non saranno un mero crogiolarsi nella zona comfort; ascoltandola sposteremo i confini, almeno di un po’.
Passo per passo…ricordiamoci che più si allarga la nostra zona comfort, più cresce la nostra sicurezza interiore e aumenta il nostro raggio di azione.
E tu? Come scegli di passare questi giorni di festività? Restando nella zona comfort o sfruttandoli per affacciarti fuori e allargare i suoi confini? Che direzione ti indica la tua stella cometa?
Aspetto i tuoi commenti!
Ciao Danijela, sono pienamente d’accordo con te: utilizzare le feste per fare il “punto della situazione” e ascoltare la nostra voce interiore è un ottimo modo per investire su se stessi…un altra cosa che si potrebbe secondo me da fare è tenere un diario della macchina biologica. Come anime, quando arriviamo sul pianeta prendiamo in dotazione un involucro (corpo fisico, mentale e d emotivo) che ci permette di interagire con l’ambiente esterno. La fregatura è che ci identifichiamo con quell’involucro.
Tenere un diario dove analizzo il piano mentale, emotivo e fisico della macchina, ci permette di prendere distacco dall’apparato psicofisico. Si tratta di analizzare cosa la fa arrabbiare, quali sono i pensieri che emana durante il giorno, quali movimenti fa, cosa la infastidisce e cosa la esalta ecc..Prendendo le distanze dalla mente si esce dalla sofferenza.E’ un ottima abitudine per prendere distacco dall’apparato psicofisico e in questo periodo ce ne sempre piu’ bisogno
Ciao Danilo, grazie del tuo commento – come sempre molto interessante!
La questione dell’identificazione con il nostro “involucro”, necessario interfaccia per poter fare le esperienze su questo pianeta, è molto complessa. Concordo con te nella costatazione che la nostra eccessiva identificazione sia causa di tutti i problemi e della sofferenza, vissuta o causata. Concordo pienamente sulla necessità di imparare a distaccarcene e mi sembra un ottimo il tuo suggerimento del diario. Siccome per molti può essere difficile e strano questo approccio, magari si potrebbe iniziare con una specie di gioco: diario in cui parlare di quel che si è fatto, pensato o provato in terza persona, come se si tratasse di un nostro conoscente. Credo che possa favorire la capacità di osservazione distaccata di se stessi. Che ne pensi? Io lo metterò in pratica. Grazie!
Si, hai ragione…credo sia un ottimo metodo :-)